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Senato della Repubblica - osservazioni al disegno di Legge 2167

2023-10-26 14:39

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senato covid19 osservazioni legge,

Viene affrontato l'obbligo di vaccino in ambito lavorativo, citando una sentenza e proponendo estensioni e modifiche, inclusa una sorta di "patentino" vaccinale

Sintesi dell’intervento orale svolto il 20 aprile 2021

Nel ringraziare codesta Commissione per l’invito rivoltomi, mi soffermo su un tema che ho avuto



modo di approfondire, ossia sull’obbligo di vaccino in ambito lavorativo e pertanto sulla norma



contenuta nell’art. 4 (disposizioni urgenti in materia di prevenzione del contagio da SARS-CoV-2 mediante previsione di obblighi vaccinali per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario) del D.L. 44/2021 in esame.





Ho avuto modo di approfondire il tema scrivendo un articolo su Lavoro Diritti Europa, pubblicato nei primi giorni di gennaio, in cui riflettevo sulla possibilità o meno di obbligare il lavoratore a vaccinarsi in mancanza di una legge specifica in tal senso, come richiesto dall’art. 32 Costituzione. Tale tema è stato oggetto di un acceso dibattito tra i colleghi giuslavoristi all’indomani della scoperta dei primi vaccini.




In particolare, giungevo alla conclusione, opposta a quella di diversi illustri colleghi, della necessità di una norma specifica e citavo un precedente della Corte Costituzionale del 1994 (la sentenza 23 maggio- 2 giugno 1994, n. 218) che si è pronunciato in una materia sovrapponibile (in merito all’AIDS), consentendo una interpretazione estensiva proprio dell’art. 32 Costituzione con conseguente illegittimità costituzionale delle norme che non prevedano - a fianco al diritto alla salute dell’individuo/lavoratore - anche la necessaria tutela alla salute della collettività.




Tale sentenza è citata anche nella Relazione allegata al Disegno di Legge in esame, proprio in quanto cristallizza dei principi tutt’oggi validi, sulla cui base il D.L. in esame fonda la “previsione dell’obbligo vaccinale”.




E’ importante analizzare il ragionamento logico e giuridico della Corte Costituzionale prima di



esaminare i tre punti che – a mio avviso – andrebbero rivisti.




Nella predetta sentenza la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma Legge 5 giugno 19090, n. 135 (Piano degli interventi urgenti in materia di AIDS), nell’art. 5, terzo e quinto comma, che prevedono rispettivamente:




«


Nessuno può essere sottoposto, senza il suo consenso, ad analisi tendenti ad accertare l’infezione da HIVse non per motivi di necessità clinica nel suo interesse. Sono consentite analisi di accertamento di infezione da HIV, nell’ambito di programmi epidemiologici, soltanto quando i campioni da analizzare siano stati resi anonimi con assoluta impossibilità di pervenire alla identificazione delle persone interessate

» e 



«


L’accertata infezione da HIV non può costituire motivo di discriminazione, in particolare per l’iscrizione alla scuola, per lo svolgimento di attività sportive, per l’accesso o il mantenimento di posti di lavoro

».




La Corte Costituzionale, con sentenza 23 maggio-2 giugno 1994, n. 218, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale norma


nella parte in cui non prevede gli accertamenti sanitari, dell’assenza di sieropositività all’infezione da HIV, come condizione per l’espletamento di attività che comportano rischi per la salute di terzi.

Nella parte motivazionale di tale sentenza è interessante, ai fini che qui interessano, il seguente



passaggio: «


La tutela della salute […] implica e comprende il dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri. Le simmetriche posizioni dei singoli si contemperano ulteriormente con gli interessi essenziali della comunità, che possono richiedere la  sottoposizione della persona a trattamenti sanitari obbligatori, posti in essere anche nell’interesse della persona stessa, o prevedere la soggezione di essa ad oneri particolari. Situazioni di questo tipo sono evidenti nel caso delle malattie infettive e contagiose, la cui diffusione sia collegata a comportamenti della persona, che è tenuta in questa evenienza ad adottare responsabilmente le condotte e le cautele necessarie per impedire la trasmissione del morbo

». In altre parole, la Corte prospetta il diritto alla salute da un lato come diritto dell’individuo ma anche (e soprattutto) come dovere dell’individuo nei confronti della collettività.




Continua, in tal senso la sentenza: «


l’art. 32 della Costituzione […] implica […] il dovere di tutelare il
diritto dei terzi che vengono in necessario contatto con la persona per attività che comportino un
serio rischio, non volontariamente assunto, di contagio

».




Sulla scorta di tale premessa, la Corte conclude per


la legittimità costituzionale della sottoposizione ad accertamenti sanitari di coloro

che svolgono


determinate attività

che


rischiano di mettere in pericolo la salute altrui

: «


In tal caso le attività che, in ragione dello stato di salute di chi le svolge, rischiano di mettere in pericolo la salute dei terzi, possono essere espletate solo da chi si sottoponga agli accertamenti necessari per escludere la presenza di quelle malattie infettive o contagiose, che siano tali da porre in pericolo la salute dei destinatari delle attività stesse. Non si tratta quindi di controlli sanitari indiscriminati, di massa o per categorie di soggetti, ma di accertamenti circoscritti sia nella determinazione di coloro che vi possono essere tenuti, costituendo un onere per poter svolgere una determinata attività, sia nel contenuto degli esami. Questi devono essere funzionalmente collegati alla verifica dell’idoneità all’espletamento di quelle specifiche attività e riservati a chi ad esse è, o intende essere, addetto

».




La Corte evidenzia che «


Situazioni di questo tipo sono evidenti nel caso delle malattie infettive e contagiose, la cui diffusione sia collegata a comportamenti della persona, che è tenuta in questa evenienza ad adottare responsabilmente le condotte e le cautele necessarie per impedire la trasmissione del morbo

».




Ebbene, appare evidente che in un contesto pandemico, l’elenco delle attività che possono ledere la salute altrui è decisamente ampio ed è riconducibile


a tutte le attività che prevedono un contatto con altre persone

(o quanto meno, per coerenza ordinamentale, a tutte quelle attività che sono state oggetto di chiusura a seguito dei DPCM emergenziali, quali i settori dei trasporti, dello spettacolo, della ristorazione, del turismo, del commercio al dettaglio etc… etc…).




E’ bene ricordare che anche l’Inail con la Circolare n. 13 del 3 aprile 2020, avente ad oggetto «


sospensione dei termini di prescrizione e decadenza per il conseguimento delle prestazioni Inail. Tutela infortunistica nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS-CoV-2) in occasione di lavoro. Decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Articolo 35, commi 1 e 2; articolo 42 commi 1 e 2», ai fini della “presunzione semplice di origine professionale” del contagio, aveva assimilato agli “operatori sanitari, esposti a un elevato rischio di contagio”, “altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/utenza”. Detta circolare indicava a titolo esemplificativo i “lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di
pulizie, operatori del trasporto infermi, etc

”.




Sulla scorta dei principi espressi nella sentenza citata della Corte Costituzionale, a mio parere, risulta difficile qualificare contrario ai principi del nostro ordinamento l’obbligo di vaccinare determinate categorie di lavoratori, in determinati settori, al fine di debellare l’emergenza epidemiologica e tutelare la salute della collettività. Proporrei dunque di:




(1) non limitare tale obbligo solo al settore sanitario, di non limitarlo a “


gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario

”, bensì a tutte le attività che prevedono un contatto con i pubblico/l’utenza;




(2) eliminare il limite temporale all’obbligo di vaccino (“31


dicembre

2021”) e di non limitarlo al



contagio da SARS-Cov-2, ma di prevedere la possibilità di imporre l’obbligo vaccinale, per  determinate categorie di soggetti che svolgono attività particolarmente a rischio per la salute



propria e della collettività, ogniqualvolta vi sia una situazione di emergenza pandemica. Gli studi



della Fondazione di Bill Gates ritengono vi saranno altre emergenze sanitarie determinate da



differenti virus; è bene prevenire in modo da poter procedere con la vaccinazione, non appena



venga scoperto il relativo vaccino. Stiamo parlando, solo oggi, dell’obbligo di vaccinare i



soggetti maggiormente a rischio contro la SARS-CoV-2, dopo oltre un anno dall’inizio della



pandemia;




(3) di prevedere la vaccinazione come una sorta di “patentino” per determinate attività, che



prevedono un contatto con i pubblico/l’utenza, con la conseguenza che se non si è vaccinati



non si è idonei a tale mansione.




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